ABSTRACT - E’ passato un anno dal 6 aprile 2009 quando in piena notte, alle 03:32, un sisma di intensità pari a 5,8 della scala Richter ha colpito L’Aquila e la sua Provincia. L'evento è stato preceduto da una lunga serie di scosse iniziate a dicembre 2008 e protrattesi con intensità sempre crescente fino al terremoto di inizio aprile che ha causato la morte di 308 persone e ha cambiato la vita a moltissime altre. Anche i danni al patrimonio edilizio risultano evidenti fin dalle prime ore: il 32% degli edifici privati sono inagibili, così come il 21% di quelli pubblici e il 54% del patrimonio storico artistico. Alla fine di aprile circa 67.500 persone che hanno perduto la casa sono assistite dalla Protezione civile nei campi di accoglienza, negli alberghi della costa, o in altre situazioni abitative di fortuna. Nel corso dell’estate si aprono i cantieri del Piano C.A.S.E. e del Piano M.A.P, che con tempi rapidissimi offrono una soluzione abitativa confortevole a molti sfollati, ma ancora oggi a L'Aquila ci sono 2.455 persone che vivono negli alberghi, 622 negli appartamenti della scuola della Guardia di Finanza e 146 nella caserma Campomizzi. Gli alberghi sulla costa ne ospitano ancora 1.850 e altri 680 aquilani alloggiano in appartamenti lungo il litorale. A distanza di un anno dal sisma è quindi tempo di fare un bilancio scientifico sul processo di ricostruzione, valutandone luci ed ombre con l'intento costruttivo di tenere alta la tensione. Nelle note che seguono, dopo una rapida descrizione del modello posto in essere dalla Protezione Civile italiana, vengono analizzati i risultati raggiunti rispetto a tre obiettivi prioritari, l’emergenza abitativa, il recupero del patrimonio storico e la rinascita delle economie locali, riflettendo su alcuni rischi che si sono venuti a determinare ed alcune attenzioni che sarà opportuno prestare, nella consapevolezza che non si può ancora cantare vittoria per quanto di buono è certamente stato fatto, fin tanto che i tre obiettivi citati non saranno pienamente raggiunti. (continua)
martedì 6 aprile 2010
L'Aquila un anno dopo
RIF. BIBLIO. - Paolo FUSERO,
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Salve, mi presento in pochissime parole:
RispondiEliminami chiamo Francesco Rocca ho 47 anni, vivo e lavoro a Roma. Mi chiedevo , dopo che ho letto il Suo documento sul bilancio della ricostruzione, secondo Lei quale era il modello da applicare per la ricostruzione?
Caro Francesco
RispondiEliminaLa ringrazio del suo intervento. Per rispondere in breve alle sue sollecitazioni. Con il senno di poi potrebbe essere facile evidenziare gli errori che sono stati compiuti in quelle fasi concitate dell’emergenza, e magari proporre ipotetici modelli alternativi di ricostruzione, ma sinceramente non mi pare questo il nodo focale della questione, a distanza di più di due anni dal sisma. Penso che sia stato fatto molto (soprattutto nella fase dell’emergenza abitativa), ma che moltissimo resti da fare (per quanto concerne il recupero del patrimonio e soprattutto il rilancio delle economie locali). Siamo nella fase in cui si stanno elaborando i Piani di Ricostruzione, strumenti complessi che per loro natura necessitano di tempi di elaborazione adeguati. Siamo in una fase economica nazionale drammatica, che impone grande attenzione nell’impiego delle poche risorse disponibili. Siamo in territori (il cratere sismico) dalle economie deboli già prima del terremoto. E’ quindi facile prevedere che fra poco inizierà lo stillicidio di confronti tra i modelli di ricostruzione cinese (terremoto del Wenchuan - 2008) e giapponese (terremoto e tsunami di Sendai – 2011) con quello abruzzese, che ci vedranno inevitabilmente soccombere per quanto riguarda i tempi e i risultati. Certo la variabile tempo in un processo di ricostruzione è determinante, ma le confesso che in questo momento sono più preoccupato delle strategie politiche di rilancio delle economie locali, rispetto ai tempi di recupero del patrimonio edilizio. Non vorrei ritrovarmi tra qualche anno con le case ricostruite, ma vuote perché gli abitanti sono nel frattempo andati altrove.
Gentilissimo Professore,
RispondiEliminaera la risposta che mi aspettavo, mi creda, Le spiego il perché. Sono d’accordo che in questo momento con il senno di poi immaginare un modello di ricostruzione, recupero e quanto altro è superfluo o servirebbe solamente per fare esercitazione di progettazione urbanistica o altro. Detto questo, quello che sto per scrivere potrebbe essere anche questo solo pura teoria, ma credo potrebbe essere utile per una riflessione. Come è noto l’Abruzzo è stata come altre Regioni d’Italia fin dagli anni 90’ in area obiettivo 1 , poi in obiettivo 2 e a seguire fino ad arrivare all’ultima Programmazione 2007-2013 in area Competitività.
Inutile ribadire , lo sapranno pure le pietre, che sono stati spesi centinaia di milioni di euro per attivare politiche per lo sviluppo, ma i risultati credo non sono soddisfacenti, traguardando al di là di questa fortissima crisi che stiamo attraversando, sul territorio è rimasto poco o niente e non mi riferisco a qualche infrastruttura realizzata , ma al cambiamento “culturale” dei cittadini che dovrebbero essere i beneficiari finali.
Sono due i punti che volevo mettere in evidenza:
Il primo riguarda la mancata applicazione di una politica di partecipazione dei cittadini, che è il principio fondamentale dei programmi comunitari.
Il Secondo punto è la mancanza di una connessione tra la programmazione urbanistica e le politiche di investimento europeo.
Ho avuto modo di leggere qualche Suo libro, e anche Lei affronta la questione del rapporto pubblico-privato nella costruzione del PRG, con una vista legata ovviamente alla normativa urbanistica nazionale o regionale. In pochissimi PRG o strumenti urbanistici sovraordinati si affronta la questione del rapporto tra la programmazione comunitaria nazionale e regionale. (QSC, POR ecc), su questo argomento sarei veramente felice conoscere la sua opinione.
Finisco nel dire che la questione che mi sta a cuore è il primo punto: la partecipazione dei cittadini che è stata completamente omessa.
Del resto basta guardare qualche sito web o leggere qualche articolo di giornale e si evince che poi tutto sommato sono gli stessi personaggi, politici e addetti ai lavori, una volta come aziende di servizi altre volte come professionisti che hanno determinato questo stato di non sviluppo , inteso come cambiamento e innovazione culturale. Grazie per la Sua attenzione saluti